Benvenuti! Questo è il blog dedicato ai racconti yaoi/shonen-ai di Hisoka K. Shindou, ovvero l'alter ego di Aphrodia Raigan, e al cinema queer...

*Disclaimer*:

ATTENZIONE: Questo Blog contiene racconti che trattano relazioni omosessuali, con presenza di scene di sesso più o meno esplicite!
Oltre ai miei racconti yaoi/shonen-ai, troverete recensioni di film a tematica gay, test, immagini tratte da manga e film, e quant'altro passa per la mente della sottoscritta! ^_^

Vi ricordo che il termine 'yaoi' viene usato in Giappone per definire un particolare genere di manga omoerotici scritti da donne per donne. I miei sono racconti che vogliono (ci provano almeno) a distaccarsi dai soliti stereotipi che caratterizzano questo genere nipponico. Uso il termine più che altro per convenzione... ^^'



sabato 10 maggio 2008

"Hans Miller"


[Piccola premessa: Il seguente racconto shonen-ai è liberamente ispirato ad Hans Matheson e Lee Williams, due attori che adoro, ma rimane un racconto TOTALMENTE DI FANTASIA! Diciamo che per interpretare i protagonisti avrei scelto questi due attori. Tutto qui! Per chi non conoscesse i due attori in questione... Eccovi le foto! ^_^]

(Hans Matheson as Hans Miller)


                                                        (Lee Williams as Lee Ross)



"Hans Miller" 


Il tempo di arrivare a casa ed avevo già cancellato tutto. Resettare la mente dopo una storia finita male era la mia specialità. Non che lo volessi davvero, diciamo che era una sorta di attitudine che avevo. Forse lo facevo per me stesso, per proteggermi.
Imbucai il vialetto che portava sul retro della villetta dei Ross. Lanciai qualche sasso contro la piccola finestrella del bagno che aveva la luce accesa. Sperai di non veder affacciare il vecchio Tom o sua moglie, e mi andò bene. Ad apparire dietro il vetro, in controluce, fu il volto di Lee. Mi ero nascosto dietro la siepe, subito sotto la casa. Distava un paio di metri dal muro della sua abitazione. Ero sicuro non potesse riuscire a vedermi da quella prospettiva, anche se era più in alto mi trovavo in una posizione tale da risultare fuori dal suo campo visivo.
Perchè l' avevo fatto? A dire il vero, non mi sembrava dovesse esserci una ragione precisa per farlo. Era stata la prima cosa che mi era passata per la testa rientrando.
"Ehi, già a casa?" chiese mia madre vedendomi rientrare. Dopotutto erano soltando le undici di sera. E per di più di un sabato sera.
"Già, abbiamo rotto..." risposi vago.
"E' stata lei a lasciarti?"
Che razza di impicciona che era mia madre.
"Sì, al solito..."
Dopo quella sera uscii con altri ragazzi, ma non durava mai più di una settimana. Il fatto era che non mi importava veramente di loro. Insomma, mi rendevo conto di poter vivere benissimo senza di loro. La mia vita mi andava benissimo così.
Al mio ritorno a casa, dopo ogni rottura, l'avevo presa a tirare i sassolini del vialetto alla finestra di quella che avevo scoperto essere la camera di Lee. Ormai lo facevo per abitudine.
"Domani arriva Sarah", disse mia madre. "Rimarrà fino alla fine della vacanze di Natale."
Sarah era mia cugina. Aveva cinque anni meno di me. Viveva a ... e frequentava ancora il college. Era una ragazza estroversa e piena di vita. Una persona senza peli sulla lingua, un po’ come me. Col sorriso sempre sulle labbra e un ottimismo sorprendente. Da piccolo l’ avevo soprannominata Pollyanna, mi divertiva prenderla in giro.
Mi offrii di andarla a prendere all’ aeroporto. Vedendomi mi corse incontro gettandomi le braccia al collo. Sarebbero potuti passare venti, trent’ anni, e sono certo che lei mi avrebbe ugualmente salutato in quel modo.
Prendemmo un taxi diretti a casa. Durante il tragitto le venne voglia di fermarsi in un pub e così scendemmo a bere qualcosa.
“Mi mancava da morire Londra!”
“O.k. Senti, Polly... Postresti cercare di apparire un po’ più diciottenne? Così riusciamo a berci una birra senza problemi.”
“Certo cugino!”
Non c’ era proprio niente da fare. Era un ciclone irrefrenabile d’ entusiasmo.
Prese a raccontarmi della sua vita al college. L' avevo ascoltata parlare ininterrottamente per più di due ore. Adesso ero veramente al limite della sopportazione.
"Scusa, ti ho annoiato?" mi chiese ad un certo punto.
Sì, da morire, pensai. "Ma no...", invece, dissi.
Se Sarah non si fosse tappata quella maledetta fogna, credo che presto avrei cercato di soffocarla con la sciarpa che portava al collo.
Si mise a piovere. Pensai a Lee. Come sempre non so bene perchè pensai proprio a lui. O forse sì.
Sarah mi riparò sotto il suo ombrello. Eravamo quasi giunti a casa. Avrei trovato una scusa e sarei uscito di nuovo. Avevo già in mente questo quando la fortuna mi venne incontro. Lee stava rientrando proprio in quel momento.
Vidi il volto di Sarah illuminarsi alla vista di Lee. E non mi piacque molto la cosa. Lei gli azzardò perfino un sorriso, che lui ricambiò. E fu quest'ultima cosa che mi mandò in bestia. Poi, spostò lo sguardo verso di me. Avrei dato non si sa cosa pur di leggere nei suoi pensieri. Mi preoccupai del mio aspetto. E questa era una novità per me che non badavo mai troppo a come uscivo di casa.
“Penso mi trasferirò di nuovo qui una volta diplomata!”
“Ma dai, per quello?”
Quello?! Ma ce li hai gli occhi, scusa?!”
Eh, sì, che ce li avevo. Dannazione! Per tutta la sera non mi  riuscì di pensare ad altro. Ed anche la notte non me ne stetti tranquillo. La mia mente faceva i pensieri più sconci e la mia mano dava gli dava libero sfogo. Non avrei mai potuto crederci. Mi ero preso davvero una bella sbandata per quello.
Nei giorni successivi presi a lanciar sassi contro la finestra della sua stanza quasi ogni notte, al mio rientro. Restavo nascosto. Aspettavo si affacciasse e lo spiavo da dietro la siepe. Poi, una sera, successe che misi un po’ più di potenza nel lancio e il vetro s’ incrinò. Pensavo sarebbe scesa la famiglia Ross al completo per dare una lezione al teppistello di quartiere. Invece niente, non successe niente.


Stavo uscendo dal lavoro quando un tipo mi fermò per strada. Era furioso.
“Non avevi nessun diritto di mollarmi in quel modo!”
Sinceramente non ricordavo chi fosse.
“Pensavo che per te fosse una cosa seria come lo era per me!” continuava a dire.
“Non sbaglierai persona...?”
“Che faccia tosta! Hai un bel coraggio! Abbiamo cenato insieme e tu hai detto di star bene con me... E mi hai fatto quella foto perchè ricordassimo quel momento...!”
Normalmente mi liberavo in fretta di tipi del genere. Normalmente non tornavano a cercarmi. Normalmente...
Stavolta le cose erano diverse. Mi mostrò quella foto che sosteneva gli avessi scattato io. La guardai. Giuro, non ricordavo fossimo stati in quel ristorante.
"Scusa," dissi scuotendo la testa, "non mi ricordo di..."
Non mi credette.
"Sei solo uno stronzo!"
"Può darsi," dissi io, "ma ti assicuro che non ricordo niente del genere".
"Stronzo," ribadì.
Sapevo che lui era nel giusto. Lo sapevo, tuttavia non potevo farci assolutamente nulla. Non me la sentivo neanche di replicare. E comunque giustificarmi mi avrebbe fatto sentire davvero un idiota.
"Vaffanculo!" disse. "Vaffanculo, Hans Miller!"
Raccolsi le sue offese, in silenzio. Me ne andai senza dire una sola parola. Presi l'autobus per tornare a casa, dal momento che aveva ripreso a piovere. Inaspettatamente incrociai lo sguardo di Lee tra quelli dei passeggeri. 
"Ehi, ciao", mi salutò.
Era la prima volta che mi rivolgeva la parola. Era successo tutto così all'improvviso da cogliermi totalmente impreparato ad un'eventualità del genere. E così non risposi.
"Sai che lì per lì non l'avevo riconosciuta", disse. "Sarah, voglio dire. L' ho vista da piccola e ora è così cambiata che..."
Sarah? Si ricordava di Sarah?
"Ehi, perchè quella faccia? Beh, scusa, hai ragione. Non ci siamo mai parlati, nonostante fossimo vicini di casa."
"In effetti, sì, è davvero strana questa cosa," constatai.
"Sembra una cosa troppo assurda, se ci pensi", sostenne anche lui ridendo.
Ma come, era bastato un momento del genere per rompere il ghiaccio? Per anni l'avevo creduto quasi impossibile e adesso...
Ci mettemmo a ridere, come due vecchi amici. Iniziai a capire. Stavo iniziando a rendermi conto del perchè dei sassi alla finestra e dei pensieri che ogni tanto si aggiravano intorno alla sua persona. Capivo i sassi e tutto il resto.
Eravamo arrivati alla nostra fermata. Scendemmo.
"Senti, Lee...", iniziai a dire. "Mi dispiace, per il vetro rotto..."
"Cosa? Ma che...?"
"Sono stato io, l'ho rotto io... Ma non volevo, ovviamente...! Te lo ripago."
"Sei stato tu?!" si sorprese lui. "E perchè mai l'avresti fatto? Tutte quelle volte... eri tu?! Non capisco, ma perchè?"
Tentai di essere più naturale che potevo, anche se non avevo proprio idea della spiegazione che gli avrei dato.
"Lo faccio solo perchè mi diverte farlo, ecco tutto," confessai. E mi sentii un vero idiota.
"Sei una specie di psicopatico? Devo preoccuparmi?"
"Non lo so..."
Lui assunse una strana espressione. Certo, quella non era la risposta che si aspettava. Avrebbe sicuramente immaginato che io negassi a priori. Invece, l'avevo sorpreso. Lo fissai dritto negli occhi aspettando la sua risposta. Speravo solo di non averlo spaventato.
"Scusa, devo andare a cena," disse dopo qualche secondo.
"Ci vediamo," lo salutai.
Lui ricambiò con un sorriso. Aveva tutta l'aria di essere un sorriso sincero. E questo mi stupì.
Sarebbe stato diverso questa volta. Sapevo già che se avessi avuto una sorta di relazione con lui, non sarebbe andata come sempre. Dimenticare la storia con lui non mi sarebbe riuscito tanto naturale quanto lo era stato con gli altri.

Finite le vacanze di Natale, Sarah tornò ad Oxford. Non avevo più visto Lee dall’ inizio dell’ anno. Poi, una sera me lo vidi comparire davanti, al ristorante in cui lavoravo. Era in compagnia di un altro ragazzo. Un tipo davvero attraente, che non passava certo inosservato. Alto, con un bel fisico, e i lineamenti del volto molto femminili. Pensai di averlo perso. Come lo vidi subito mi dissi: “Questo è gay!”
Lee rimase sorpreso vedendomi giungere al loro tavola con la comanda in mano. Provai un discreto imbarazzo, lo ammetto, tuttavia ero felice di essere io a servirlo.
“Che sorpresa!” esclamò lui entusiasta.
“E’ un onore per me servirti”, risposi. Questa poi! Come mi uscì dalla bocca proprio non so.
Lee si mise a ridere. Neanche io riuscii a trattenermi. Ogni volta con lui mi comportavo da idiota. Non riuscivo ad evitarlo. Succedeva e basta.
“Questo è Ian” disse, riferendosi al tipo che stava con lui. “Te lo presenterò meglio in un’ altra occasione. Tipo domani a casa mia... Do’ una festicciola, mi farebbe piacere se tu venissi.”
“D’ accordo.”
Ian mi scrutava curioso con quei suoi enormi occhi verdi, profondi. Non riuscivo a non guardarlo. Credo che Lee se ne fosse accorto, perchè lo vidi che abbassava lo sguardo con quello che mi sembrò un certo imbarazzo.
Per tutto il tempo che rimasero seduti a quel tavolo il mio sguardo non poteva evitare di tenerli sotto stretta sorveglianza.
Quello fu il mio primo incontro con Ian. Il giorno seguente Lee ci presentò di nuovo a casa sua. Scoprii che Ian era un attore di Hollywood. Lui e Lee si erano conosciuti a Los Angeles, nella villa di un famoso stilista per cui Lee aveva lavorato come modello. Scoprii un lato della vita di Lee Ross che non conoscevo. Scoprii un mondo che con il mio non aveva proprio niente a che vedere.
Verso mezzanotte me ne andai. Avevo voglia di far due passi prima di tornarmene a casa così m’ incamminai lungo il viale. Il nostro quartiere è piuttosto tranquillo di notte. Ero quasi arrivato in fondo alla strada che un taxi mi si accostò.
“Vuoi un passaggio?”
Era Ian, con il suo sguardo penetrante. Mi fece cenno di salire sull’ auto.
“Vivo qui...” dissi.
“Lo so. Pensavo che magari ti andava di accompagnarmi in hotel...”
La sua intraprendenza mi sorprese.
“Che arroganza!” risposi, entrando in macchina.
Ian ci sapeva fare. Ero talmente preso dai suoi modi di fare che non pensai neanche per un secondo a Lee. Il suo modo di sorridere non mi dava scampo. Stare con lui mi toglieva la ragione. Passammo la notte insieme. Quando mi svegliai era giorno inoltrato. Ian dormiva ancora. Feci piano, attento a non svegliarlo. Mi feci una doccia. L’ acqua tiepida sul corpo mi riporto con i piedi per terra. L’ immagine di Lee s’ affacciò nei miei pensieri.
“Cazzo!” imprecai.
“Ehi, pensavo te la fossi squagliata” disse Ian sorprendendomi sotto la doccia. “Dimenticavo che gli inglesi sono dei gentiluomini, non lo farebbero mai. Scusa se ho dubitato di te...”
“Io lo farei eccome! Non sono certo una persona raccomandabile. Tu non mi conosci affatto...”
“Qualche ora fa credevo di sì”, disse lui baciandomi sul collo.
“Che presunzione! Solo perchè siamo stati a letto insieme che di saper tutto di me!” sostenni divertito.
"Non gliel' hai mai detto, eh?"
"Di che parli?"
"Lee," rispose. "Non sa niente, vero?"
"E perchè mai dovrebbe?! Non è necessario che..."
"Scusa se abbiamo... be', capito..." rise.
"Scusa...?! Cosa vorresti dire? E' stata una cosa reciproca, no?"
“Reciproca”, ripetè lui. Annuì con la testa.
“Mi prendi in giro?!”
"Ma no...!” disse ridendo.
“Che tipo!”
“Hans Miller", disse. "Non ci credo...!" E rise di nuovo.
                                              *                        *                      *



Come ero finito ad Hollywood nel luglio di quello che fu il peggior anno della mia vita? Spesso me lo sono chiesto. Era stato per caso, immagino. Per fortuna, qualcuno avrebbe potuto pensare. Fortuna? Ma quale fortuna... A vederla col senno di poi la definirei maledizione!
Ian mi aveva trascinato prima nel suo letto, poi nella sua vita. Era stato lui a convincermi a trasferirmi a Los Angeles. Mi aveva procurato un appartamento vicino al suo. Mi aveva dato le dritte giuste per quel lavoro. Sapeva che ce l’ avrei fatta. Che sarei sopravvissuto. Mi aveva portato con sè, nel suo mondo. Nel suo cazzo di mondo. Mi aveva dato in pasto a tutta quella gente piena di sè.
Mi aveva presentato il regista premio Oscar, G.H., che non avevo mai sentito nominare, ma questo me lo tenni per me.
G. H. mi volle scritturare a tutti i costi. Come mi vide quella prima volta a cena disse ero perfetto per la parte di co-protagonista del suo film.
Ian si faceva sentire un paio di volte a settimana. Odiavo tutta quella genta con la puzza sotto il naso che spesso mi squadrava dall’ alto in basso. Per loro ero solo un incapace. Io ero ‘quello che fa l’ attore senza aver mai studiato recitazione’. Ero quello che snobba Hollywood e suoi party a base di sesso e droga.
Una settimana prima Ian aveva fatto la sua apparizione sul set del film che stavo girando. L’ avevo odiato vedendomelo comparire davanti. Erano quasi tre mesi che non ci vedevamo. Quando ero stato preso per quel ruolo ammetto di esserne stato felice, ma, successivamente, la stanchezza e lo stress avevano preso il sopravvento. Non ne potevo più di girare per tredici-quattordici ore di seguito. Desideravo soltanto potermene stare un po’ in pace. Avrei solo voluto tornarmene a casa.
“Ehi, Miller... Come va?”
“Da schifo! Sono a pezzi. Mancano ancora due settimane alla fine delle riprese, poi gireremo a Londra...”
“Non me l’avevi detto.”
“Che te ne importa? Immagino non ci saremmo visti comunque...”
“Beh, adesso sono qui!”
“Fantastico!” dissi ironico.
“Dai, Miller, non sarà sempre così... Avrai tante soddisfazioni, vedrai.”
“Certo,” risposi in tono rassegnato.
“Ci vediamo più tardi? Potremmo cenare insieme, che dici? Facciamo da me?”
“O.k.” accettai. Quel suo dannatissimo sguardo! Non riuscivo a dirgli di no.
“Bene. A più tardi. Ciao, Holden!”
Aveva preso a chiamarmi Holden, già da un po’, quando, diceva che, giocavo a fare ‘il disadattato e lo schivo’. E mi chiamava Miller, quasi mai Hans, e non ne ho mai capito il perchè. Forse non c’è una ragione precisa. Ad ogni modo, in fondo, mi piaceva sia quando mi chiamava Holden che Miller.
Cenammo nel suo appartamento. Dopo, anche se era distrutto, finimmo per fare sesso.
“Mi sento un bastardo... E domani tu devi lavorare...” tentò di scusarsi.
“Non fartene una colpa. Si è presentata l’occasione e...”
"Senti, Miller..." prese a dire, interrompendomi.
Odio quando qualcuno inizia una frase con 'senti'. Mi da' letteralmente ai nervi. E non mi fa mai pensare a niente di buono.
"Mi farebbe davvero molto piacere se questa occasione" disse, evidenziando la parola occasiona, "si ripresentasse in futuro. Tu mi piaci Miller, parlo sul serio. So che non è facile avere una relazione stabile, soprattutto in questo ambiente ma..."
"Va bene" risposi. E quella non era certo la risposta che si aspettava. Lo capii immediatamente dalla sua faccia. Non che gli dispiacesse, anzi, solo che non se l'aspettava. A dire la verità neanche io mi aspettavo di dire una cosa simile.
"Come...?" domandò incredulo.
"O.k., per me va bene."
"Perfetto!" disse soddisfatto.
Prima di andarmene mi ha dette una rivista di moda. Sul retro, in quarta di copertina, c’ era la foto della pubblicità di una nota marca di jeans che ritraeva Lee in una posa piuttosto sexy.
“E’ il testimonial della loro nuova campagna pubblicitaria.”
Non riuscii a dire niente. Arrivò il taxi e salii. Per tutto il tragitto tenni gli occhi fissi sul fondoschiena di Lee.
Tornai agli Studios che era notte fonda. In giro non c’era anima viva. Tutto intorno a me sembrava così triste. Entrai nel mio container sperando che una volta varcata la soglia ad attendermi ci fosse la mia vecchia camera. Forse la vidi veramente. Mi buttai esausto sul letto, tuttavia non riuscii a chiudere occhio. Continuavo a fissare la sveglia. E pensavo a Lee. A quando -e se- l’ avrei rivisto. Pensavo di chiamarlo, ci pensavo spesso, poi rinunciavo. Il fatto era che mi mancava davvero troppo. Il fatto era che...

L’ ultima settimana di riprese negli Stati Uniti fu ancora più pesante delle precedenti, poi la troupe si spostò in una location a Londra.
“Ehi, in gamba Holden!” mi salutò Ian la sera prima della partenza.
Finalmente, dopo quasi un anno, rimisi piede a Londra. Tutto mi sembrava diverso da come l’avevo lasciato. Sul vialetto di casa mia sono stato lì lì per esitare. Vidi il vecchio me suonare il campanello, poi correre sul retro fin sotto alla finestra della camera di Lee. L o vidi lanciare un sasso ed aspettare che l’amico apparisse in controluce dietro al vetro, poi scappare via veloce nella notte.
“Hans...?!” mia madre mi sorprese mentre me ne stavo lì impalato davanti casa.
Mi sembravano secoli che non facevo ritorno a casa. Mi sentivo come un soldato che torna dal fronte. Mi sentivo un po’ fuori luogo. Eppure fino al giorno prima non desideravo altro che tornarmene in Inghilterra. Ero fuori luogo ad Hollywood e adesso ero fuori luogo lì. Non avevo più un mio posto. Dio, che sensazione del cavolo!
“Che ti succede? Perchè te ne stai lì impalato? Hans...!”
Scacciai dalla mente quel senso di alienazione che mi aveva assalito ed avanzai verso mia madre.
“Forza, Holden!” mi dissi, sforzandomi di sorridere..
Lei mi abbracciò forte, come non ricordavo avesse mai fatto prima.


                                            

Le riprese erano quasi terminate. La produzione aveva organizzato una cena in uno dei ristoranti più in della capitale. Odio queste cose, ma quella sera non potevo defilarmi. Pensavo seriamente di farla finita con tutto quello. Non ero per niente convinto che quello fosse il mio mondo.
Mi feci lasciare dal taxi in fondo al viale. La mia solita voglia della passeggiata notturna.
Camminavo guardando in alto, verso la luna.
“Hans. Ehi, Hans...!” chiamò una voce alle mie spalle.
Stentavo a crederci. Lee era proprio dietro di me. Indossava pantaloni attillati, proprio come nella foto sulla rivista.
“Ma cosa fai? Non mi hai neanche chiamato per dirmi che tornavi...”
“In realtà avrei voluto chiamarti... Avrei voluto farlo tante di quelle volte...” ammisi.
Lee sembrava non capire.
“Ad Hollywood la luna è diversa, sembra di cartone!”
“Sei matto...!” sostenne lui ridendo.
“Oh, Dio... Non so come faccio a dire tante stronzate!”
“Non preoccuparti”, disse sorridendo. “Allora, perchè non mi hai chiamato?”
“Se te lo dico poi tu... Be’, ecco... Io sono un tipo un po’ strano e... come posso dirtelo...”
"Non credo tu sia poi tanto strano", disse.
Non dissi niente. Mi limitai ad annuire.
"Avevo una ragazza quando andavo al college," prese a dire. "Siamo stati insieme per quasi un anno, poi lei si trasferì a Brighton e la cosa finì lì. Beh, ci scrivemmo i primi tempi... Non so neanche perchè lo facessi, dal momento che per me era praticamente morta e sepolta. Sai, quando stavo con lei, io in realtà..." si fermò un momento.
Lo guardai sotto quella magnifica luce bianca della luna piena.
"In realtà tu... cosa?" domandai.
Era arrossito. Per la prima volta lo vedevo in imbarazzo.
"Lascia stare, non voglio saperlo", mi affrettai a dire.
"Volevo solo essere come gli altri. Volevo che nessuno mi considerasse diverso, strano."
"Sì, credo di poterlo capire."
"Non abbiamo mai fatto sesso. Penso che lei la ritenesse come una forma di rispetto nei suoi confronti, ma la verità è che io non provavo assolutamente niente per lei."
"So cos'è. La totale mancanza d'attrazione, l'ho provata spesso."
Sì, la provavo sempre verso le ragazze.
"Ehi, Hans... "
Il momento era fatidico. Ora o mai più. Sarebbe successo quel che sarebbe successo. Ero pronto. Avrei rischiato. Forse l’ avrei perso. O forse...
Lo baciai. Fu diverso da ogni altra volta. Diverso da ogni altro bacio. Mi ricordai i primi tempi. Quanto mi sentivo impacciato ad esprimere i miei sentimenti. E la paura d’ esser rifiutato.
“Adesso capisci perchè non potevo chiamarti?”
“Assolutamente no”.
Lo guardavo incredulo. Sentivo il bisogno di abbandonare il campo. Avrei voluto piantarlo lì, in mezzo di strada. Le luci del crepuscolo ci stavano raggiungendo. La luna era ancora lassù, solo un po’ più bassa. Era stata nostra testimone.
“Ci vediamo, Lee” riuscii a dire, infine, e me ne andai sul serio.
Avevo bisogno di riposarmi. Ultimamente avevo dormito solo un paio d’ore per notte.
“Non può funzionare” mi dissi una volta a casa. Ed avevo rovinato tutto. C’era stato un tempo in cui mai e poi mai avrei creduto di confessare a Lee di essere gay.  E che addirittura gli avrei dichiarato i miei sentimenti.
Mancavano tre giorni. Tre soli giorni. Poi, sarei volato di nuovo in America.
Non curante del fuso orario Ian mi chiamò alle cinque del mattino. Non accennai neanche lontanamente a quello che c’ era stato con Lee. Gli dissi solo che l’ avevo incontrato per caso per strada.
Tornai a Los Angeles senza aver rivisto Lee. Me ne andai come un vigliacco, in silenzio. Ignorai le sue chiamate al cellulare. Partii col solo unico pensiero rivolto ad Ian che avrei trovato ad attendermi all’ aeroporto. Per la prima volta mi resi conto d’ esser soddisfatto anche del mio lavoro. Ero ansioso di assistere alla prima del film. Scambiai anche qualche parola in più con G.H., che mi sul volomi era seduto a fianco. Ad un certo punto mi sembrò che si fosse stabilito un curioso rapporto d’ intesa tra noi, come qualcosa che poteva sfiorare l’ amicizia. Era entusiasta del nostro lavoro. Mi stimava, sia come persona che come attore. Diceva che avevo del potenziale. Mi mettevano in imbarazzo quei discorsi. Cercavo di sorridergli con più naturalezza che potevo. Poi, mi fece capire che lui sapeva di Ian. Disse che potevo fidarmi. Conosceva Ian da molti anni. Era amico di suo padre, con cui aveva lavorato quand’ era più giovane. Improvvisamente mi sentii come a casa. Mi sentii libero di essere me stesso. Forse esagero ma in quel momento G. mi parve la figura più vicina ad un padre. Non c’ era nessun secondo fine nei suoi discorsi. Non ci stava provando con me, e non ci provò mai. Diventammo amici e lavorammo nuovamente insieme un paio di anni dopo.
[ Fine 1a parte]
[Premessa: In questa seconda parte (ultimata oggi 29 giugno 2008) ci sono chiari riferimenti a due film interpreati da Lee Williams, ci tengo comunque a ribadire che si tratta di un' opera di TOTALE  FANTASIA!^^ ]
Sarebbe potuto essere tutto diverso. Lo pensavo spesso da quando ero rientrato negli Stati Uniti. Erano già passati sei mesi da allora. Non era così che dovevano andare le cose. Certo che col senno di poi è facile.
Lee mi aveva chiamato poco prima che uscissi per andare a quello che sarebbe stato il mio primo ed ultimo party hollywoodiano. Avevo lasciato squillare il cellulare nel silenzio della stanza. Avevo lanciato un ultimo sguardo alla rivista sul tavolo con una delle pubblicità che ritraeva Lee con quei jeans maledettamente sexy. Se devo esser sincero mi sentivo una merda. Le cose sarebbero potute andare diversamente, almeno in parte. Qualcosa che successe da lì a poco probabilmente non avrei potuto evitarlo, ma tra me e Lee -forse- poteva essere tutto diverso.
Era stato Ian a convincermi a partecipare a quella festa di cui ora non ho che vaghi ricordi. Frame confusi che anche adesso tornano a torturarmi di tanto in tanto. Come lo sguardo rassicurante di Ian. Come Natalie che sorrideva. E quel mio strano, brutto, presentimento... Poi, la polizia che mi interrogava. Le voci sconosciute attorno a me. La voglia di scappare via. Poi, ancora, la telefonata a Lee. Il nodo in gola che m' impediva di parlare. Le lacrime che non scendevano, ma che inondavano la mia testa. La voglia irrefrenabile di gridare.
No, non credo avrei potuto evitare ciò che accadde quella sera. Parlai per quasi tutto il tempo con Natalie, con cui avevo lavorato tempo prima. Ci conoscemmo meglio. Lei aveva un fascino tutto particolare. Sembrava come me, totalmente estranea a quell' ambiente. Quando mi allontanai per andare a prendere qualcosa da bere cercai Ian con lo sguardo, ma non lo trovai. Raggiunsi Natalie sul bordo della piscina. Successe immediatamente dopo. Arrivò la polizia e tutto il resto. Parlavano di un incidente avvenuto a circa un chilometro dalla villa. Provai un senso di vertigine. Natalie mi fissò incredula. Dopo, tutto si sfocò nella mia mente.
I giorni seguenti cercai di ricostruire l' accaduto, in qualche modo. Non riuscivo a farmene una ragione. Com' era possibile? Non l' avevo neanche visto andarsene. Quando aveva lasciato la villa? E perchè? Perchè non me l' aveva detto? Non mi aveva neanche salutato. Non mi sembrava da lui comportarsi così.
Rividi Lee al funerale. Ci scambiammo appena qualche parola su Ian. L' esame tossicologico sul suo corpo aveva stabilito che era sotto l' effetto di stupefacenti e il tasso alcolico era decisamente alto. In auto con lui c' era Allison, una sua amica di vecchia data. Allison era una persona a posto, almeno dava quest' impressione. Ian me l' aveva presentata poco dopo il mio arrivo a Los Angeles. Anche lei, che se l' era cavata con qualche costola rotta, era risultata positiva all' esame tossicologico. Era riuscita a dire solo che Ian aveva perso il controllo della macchina in curva. Sì, ma perchè se n'erano andati senza dire niente?
"Ehi, Hans..." disse Lee.
Sussultai a quelle parole. Era il modo in cui solitamente mi si rivolgeva Ian.
"Mi dispiace," dissi. "Per tutto. Per come mi sono comportato con te e per quello che è successo ad Ian..."
"Ma tu non c' entri con Ian," rispose lui.
"Devo dirti qualcosa, Lee."
Lo convinsi a rimanere a dormire da me. Gli parlai, finalmente, di me ed Ian.
"L' avevo immaginato."
"Voleva fossi io a dirtelo, solo che... "
"Non ha più importanza adesso. Domani ho il volo per Londra alle nove."
"Non rimani qualche giorno? Puoi stare qui..."
"Devo sostenere un provino nel pomeriggio. Te ne avrei parlato, ma non ti sei neanche degnato di rispondere alla mia telefonata... "
"Allora era questo. Mi avevi chiamato per questo..."
"Pensavo potessimo essere amici. Insomma, il fatto che tra noi non possa esserci altro non credevo significasse anche rompere la nostra amicizia. Beh, scusa se..."
"No, basta. Non dire più niente. Mi sento un vero bastardo... Io non volevo questo, assolutamente."
"Non capisco..."
"Tu mi piaci Lee, ma siamo entrambi molto impegnati e la nostra immagine pubblica..."
"La nostra... immagine?!" disse mettendosi a ridere. "E' strano sentirti dire una cosa del genere!"
"Forse hai ragione. Comunque se rimani mi fa piacere..."
"Ho davvero quel provino."
"O.k."
Erano tante le cose di Lee che non sapevo. Come che lui frequentasse una scuola di recitazione.
"Mi hanno scelto per un ruolo in un film gay!" mi disse al telefono, qualche tempo dopo.
"E girerai scene di sesso?" fu la prima cosa che mi venne da chiedergli. Scemo!
"Ma no...!" rispose lui divertito. "Sì tratta di una produzione a basso costo... Una storia horror sulla diversità e l' intolleranza... "
"Un horror?"
"Sì. I protagonisti sono perseguitati dagli abitanti di un villaggio in quanto lupi, be' con le sembianze umane... Ovviamente si tratta di una metafora!" mi spiegò.
Sembrava davvero entusiasta. Mi complimentai con lui. Ci ripromettemmo di vederci presto.
Mi sentivo ancora legato ad Ian, non potevo negarlo. Lee lo sapeva e manteneva le distanze.  Non posso neanche negare di pensarlo più di una volta durante il giorno. Così mi sentivo come affetto da sadismo psicologico. Avevo creato una linea di confine tra noi. Un limite che non volevo oltrepassare, anche se Lee mi piaceva. Solo Dio sa quanto mi piacesse. Col passare del tempo i miei sentimenti, però avevano finito per subire, inevitabilmente, una trasformazione. L' attrazione era diventata amore e successivamente l' amore si era trasformato in semplice affetto.
Spesso la notte sognavo Ian. Facevamo l' amore. Iniziai a pensare che mi andava bene anche così. Ci fu una volta in cui sognai Lee, ma questo non gliel' ho mai detto. Fu l' unica volta.
Gli impegni di lavoro non mi permettevano molto spesso di rientrare in Inghilterra, ma quando succedeva non perdevo mai tempo per fissare con Lee. Mi raccontava le sue nuove esperienze come attore e io, al solito, ogni sorta di pettegolezzo che girasse ad Hollywood.
Casualmente ci ritrovammo a partecipare ad uno stesso provino per un film di un regista  italiano. Tutti e due avevamo mantenuta segreta la cosa, per scaramanzia. Quando fui scelto e mi indicarono l' altro protagonista della pellicola stentai a crederci. Lee mi guardava con quel suo solito sorriso spiazzante. Aveva sostenuto il provino prima di me e non ci eravamo incrociati.
Anche se da allora sono passati quasi dieci anni è tutto molto vivido nei miei ricordi.
Mi sono concesso una breve vacanza nella Repubblica Ceca.
Ti ho rivisto là, nella mia mente. Camminavamo insieme per le strade di Praga. Eravamo stati là un mese. E là, in quell' occasione, mi ero di nuovo innamorato di te. Tu sorridevi. Ed io ti amavo. Ero così attratto da te. Ti avrei abbracciato e baciato anche per strada, fregandomene della gente. Durante le riprese ero eccitato come non mai. Abbiamo avuto modo di approfondire la nostra amicizia proprio grazie a quel film.
Lungo la Moldava mi sono lasciato completamente dominare dai ricordi. Avrei voluto rivivere le scene del nostro film, ma non più come attore. Le avrei volute vivere come Hans Miller. Avrei fatto scelte diverse dal protagonista e tu, immagino, non avresti odiato quel tuo fratello nato da una relazione illegittima. Sarebbe stato diverso. Nessuna Sophie. Nessuna Sophie per me. Solo tu. E un Canone Inverso scritto solo per noi.
Invece, sono seduto sul letto di una silenziosa stanza d' hotel. Fisso il telefonino sul tavolo, ma non ti chiamo. Chiami tu, con un ottimo tempismo.
"Ma non dovevi tornare oggi?" mi chiedi.
"Le riprese si sono protratte ancora per qualche giorno" rispondo mentendo. Non ci sono riprese, non sto girando nessun film. Avevo soltanto bisogno di abbandonare Hollywood per un po'.
"Ho da raccontarti tante di quelle cose!"
"Ho visto la serie... " gli dico. "Una palla tremenda... è solo il tuo personaggio che la rende vedibile!" ammetto scherzosamente, ma onestamente.
Lui ride. "Mi manchi" dice.
Mi manchi anche tu penso, ma le parole mi muoiono dentro. Non mi piace essere sdolcinato.
"Hans, torna presto" aggiunge poi.
E ti rivedo là, quell' ultima sera, in quell' ultima scena. La sera del concerto, la notte in cui mi portano via. Siamo morti tutti quella notte. Un suono di violino lungo la Moldava. David o forse, davvero, Jeno. Ti amo Lee.
Hollywood non è Londra. Nel bene e nel male, soprattutto nel primo. Hollywood è cruda e selettiva. Non ti lascia respiro. Rischia di soffocarti e sbiadirti sotto le luci dei suoi riflettori.
La tua pubblicità sui muri non mi dava scampo. Come del resto il fantasma di Ian che tornava a sostenermi in quei tristi momenti in cui pensavo di mandare tutto al diavolo. Avrei voluto lavorare di nuovo con te. Confrontarci sul set. Quell' intesa che si era creata tra noi a Praga era una delle cose migliori che potessero succedermi nella vita.
Dopo la morte di Ian avevo pensato di tornarmene a Londra, in un primo momento, ma poi decisi di rimanere. Ian aveva fatto molto per me. Mi aveva presentato le persone giuste. Mi aveva fatto amare il cinema. Forse non ero più come l' Holden di Salinger. La vita con Ian mi aveva cambiato. Sarei stato ancora Holden, forse, ma solo il 'suo' Holden. Per sempre.