[Piccola premessa: Il seguente racconto shonen-ai è
liberamente ispirato ad Hans Matheson e Lee Williams, due attori che adoro, ma
rimane un racconto TOTALMENTE DI FANTASIA! Diciamo
che per interpretare i protagonisti avrei scelto questi due attori. Tutto qui!
Per chi non conoscesse i due attori in questione... Eccovi le foto!
^_^]

(Hans Matheson as Hans
Miller)
(Lee Williams as Lee Ross)
"Hans Miller"
Il tempo di arrivare a casa
ed avevo già cancellato tutto. Resettare la mente dopo una storia finita male
era la mia specialità. Non che lo volessi davvero, diciamo che era una sorta di
attitudine che avevo. Forse lo facevo per me stesso, per proteggermi.
Imbucai il vialetto che
portava sul retro della villetta dei Ross. Lanciai qualche sasso contro la
piccola finestrella del bagno che aveva la luce accesa. Sperai di non veder
affacciare il vecchio Tom o sua moglie, e mi andò bene. Ad apparire dietro il
vetro, in controluce, fu il volto di Lee. Mi ero nascosto dietro la siepe,
subito sotto la casa. Distava un paio di metri dal muro della sua abitazione.
Ero sicuro non potesse riuscire a vedermi da quella prospettiva, anche se era
più in alto mi trovavo in una posizione tale da risultare fuori dal suo campo
visivo.
Perchè l' avevo fatto? A dire
il vero, non mi sembrava dovesse esserci una ragione precisa per farlo. Era
stata la prima cosa che mi era passata per la testa
rientrando.
"Ehi, già a casa?" chiese mia
madre vedendomi rientrare. Dopotutto erano soltando le undici di sera. E per di
più di un sabato sera.
"Già, abbiamo rotto..."
risposi vago.
"E' stata lei a
lasciarti?"
Che razza di impicciona che
era mia madre.
"Sì, al
solito..."
Dopo quella sera uscii con
altri ragazzi, ma non durava mai più di una settimana. Il fatto era che non mi
importava veramente di loro. Insomma, mi rendevo conto di poter vivere benissimo
senza di loro. La mia vita mi andava benissimo così.
Al mio ritorno a casa, dopo
ogni rottura, l'avevo presa a tirare i sassolini del vialetto alla finestra di
quella che avevo scoperto essere la camera di Lee. Ormai lo facevo per
abitudine.
"Domani arriva Sarah", disse
mia madre. "Rimarrà fino alla fine della vacanze di
Natale."
Sarah era mia cugina. Aveva
cinque anni meno di me. Viveva a ... e frequentava ancora il college. Era una
ragazza estroversa e piena di vita. Una persona senza peli sulla lingua, un po’
come me. Col sorriso sempre sulle labbra e un ottimismo sorprendente. Da piccolo
l’ avevo soprannominata Pollyanna, mi divertiva prenderla in
giro.
Mi offrii di andarla a
prendere all’ aeroporto. Vedendomi mi corse incontro gettandomi le braccia al
collo. Sarebbero potuti passare venti, trent’ anni, e sono certo che lei mi
avrebbe ugualmente salutato in quel modo.
Prendemmo un taxi diretti a
casa. Durante il tragitto le venne voglia di fermarsi in un pub e così scendemmo
a bere qualcosa.
“Mi mancava da morire
Londra!”
“O.k. Senti, Polly...
Postresti cercare di apparire un po’ più diciottenne? Così riusciamo a berci una
birra senza problemi.”
“Certo
cugino!”
Non c’ era proprio niente da
fare. Era un ciclone irrefrenabile d’
entusiasmo.
Prese a raccontarmi della sua
vita al college. L' avevo ascoltata parlare ininterrottamente per più di due
ore. Adesso ero veramente al limite della sopportazione.
"Scusa, ti ho annoiato?" mi
chiese ad un certo punto.
Sì, da morire, pensai. "Ma
no...", invece, dissi.
Se Sarah non si fosse tappata
quella maledetta fogna, credo che presto avrei cercato di soffocarla con la
sciarpa che portava al collo.
Si mise a piovere. Pensai a
Lee. Come sempre non so bene perchè pensai proprio a lui. O forse
sì.
Sarah mi riparò sotto il suo
ombrello. Eravamo quasi giunti a casa. Avrei trovato una scusa e sarei uscito di
nuovo. Avevo già in mente questo quando la fortuna mi venne incontro. Lee stava
rientrando proprio in quel momento.
Vidi il volto di Sarah
illuminarsi alla vista di Lee. E non mi piacque molto la cosa. Lei gli azzardò
perfino un sorriso, che lui ricambiò. E fu quest'ultima cosa che mi mandò in
bestia. Poi, spostò lo sguardo verso di me. Avrei dato non si sa cosa pur di
leggere nei suoi pensieri. Mi preoccupai del mio aspetto. E questa era una
novità per me che non badavo mai troppo a come uscivo di casa.
“Penso mi trasferirò di nuovo
qui una volta diplomata!”
“Ma dai, per quello?”
“Quello?! Ma ce li hai gli occhi,
scusa?!”
Eh, sì, che ce li avevo.
Dannazione! Per tutta la sera non mi
riuscì di pensare ad altro. Ed anche la notte non me ne stetti
tranquillo. La mia mente faceva i pensieri più sconci e la mia mano dava gli
dava libero sfogo. Non avrei mai potuto crederci. Mi ero preso davvero una bella
sbandata per quello.
Nei giorni successivi presi a
lanciar sassi contro la finestra della sua stanza quasi ogni notte, al mio
rientro. Restavo nascosto. Aspettavo si affacciasse e lo spiavo da dietro la
siepe. Poi, una sera, successe che misi un po’ più di potenza nel lancio e il
vetro s’ incrinò. Pensavo sarebbe scesa la famiglia Ross al completo per dare
una lezione al teppistello di quartiere. Invece niente, non successe
niente.
Stavo uscendo dal lavoro
quando un tipo mi fermò per strada. Era furioso.
“Non avevi nessun diritto di
mollarmi in quel modo!”
Sinceramente non ricordavo
chi fosse.
“Pensavo che per te fosse una
cosa seria come lo era per me!” continuava a
dire.
“Non sbaglierai persona...?”
“Che faccia tosta! Hai un bel
coraggio! Abbiamo cenato insieme e tu hai detto di star bene con me... E mi hai
fatto quella foto perchè ricordassimo quel
momento...!”
Normalmente mi liberavo in
fretta di tipi del genere. Normalmente non tornavano a cercarmi.
Normalmente...
Stavolta le cose erano
diverse. Mi mostrò quella foto che sosteneva gli avessi scattato io. La guardai.
Giuro, non ricordavo fossimo stati in quel ristorante.
"Scusa," dissi scuotendo la
testa, "non mi ricordo di..."
Non mi
credette.
"Sei solo uno
stronzo!"
"Può darsi," dissi io, "ma ti
assicuro che non ricordo niente del
genere".
"Stronzo,"
ribadì.
Sapevo che lui era nel
giusto. Lo sapevo, tuttavia non potevo farci assolutamente nulla. Non me la
sentivo neanche di replicare. E comunque giustificarmi mi avrebbe fatto sentire
davvero un idiota.
"Vaffanculo!" disse.
"Vaffanculo, Hans Miller!"
Raccolsi le sue offese, in
silenzio. Me ne andai senza dire una sola parola. Presi l'autobus per tornare a
casa, dal momento che aveva ripreso a piovere. Inaspettatamente incrociai lo
sguardo di Lee tra quelli dei passeggeri.
"Ehi, ciao", mi
salutò.
Era la prima volta che mi
rivolgeva la parola. Era successo tutto così all'improvviso da cogliermi
totalmente impreparato ad un'eventualità del genere. E così non risposi.
"Sai che lì per lì non
l'avevo riconosciuta", disse. "Sarah, voglio dire. L' ho vista da piccola e ora
è così cambiata che..."
Sarah? Si ricordava di Sarah?
"Ehi, perchè quella faccia?
Beh, scusa, hai ragione. Non ci siamo mai parlati, nonostante fossimo vicini di
casa."
"In effetti, sì, è davvero
strana questa cosa," constatai.
"Sembra una cosa troppo
assurda, se ci pensi", sostenne anche lui
ridendo.
Ma come, era bastato un
momento del genere per rompere il ghiaccio? Per anni l'avevo creduto quasi
impossibile e adesso...
Ci mettemmo a ridere, come
due vecchi amici. Iniziai a capire. Stavo iniziando a rendermi conto del perchè
dei sassi alla finestra e dei pensieri che ogni tanto si aggiravano intorno alla
sua persona. Capivo i sassi e tutto il
resto.
Eravamo arrivati alla nostra
fermata. Scendemmo.
"Senti, Lee...", iniziai a
dire. "Mi dispiace, per il vetro
rotto..."
"Cosa? Ma
che...?"
"Sono stato io, l'ho rotto
io... Ma non volevo, ovviamente...! Te lo
ripago."
"Sei stato tu?!" si sorprese
lui. "E perchè mai l'avresti fatto? Tutte quelle volte... eri tu?! Non capisco,
ma perchè?"
Tentai di essere più naturale
che potevo, anche se non avevo proprio idea della spiegazione che gli avrei
dato.
"Lo faccio solo perchè mi
diverte farlo, ecco tutto," confessai. E mi sentii un vero
idiota.
"Sei una specie di
psicopatico? Devo preoccuparmi?"
"Non lo
so..."
Lui assunse una strana
espressione. Certo, quella non era la risposta che si aspettava. Avrebbe
sicuramente immaginato che io negassi a priori. Invece, l'avevo sorpreso. Lo
fissai dritto negli occhi aspettando la sua risposta. Speravo solo di non averlo
spaventato.
"Scusa, devo andare a cena,"
disse dopo qualche secondo.
"Ci vediamo," lo salutai.
Lui ricambiò con un sorriso.
Aveva tutta l'aria di essere un sorriso sincero. E questo mi
stupì.
Sarebbe stato diverso questa
volta. Sapevo già che se avessi avuto una sorta di relazione con lui, non
sarebbe andata come sempre. Dimenticare la storia con lui non mi sarebbe
riuscito tanto naturale quanto lo era stato con gli
altri.
Finite le vacanze di Natale,
Sarah tornò ad Oxford. Non avevo più visto Lee dall’ inizio dell’ anno. Poi, una
sera me lo vidi comparire davanti, al ristorante in cui lavoravo. Era in
compagnia di un altro ragazzo. Un tipo davvero attraente, che non passava certo
inosservato. Alto, con un bel fisico, e i lineamenti del volto molto femminili.
Pensai di averlo perso. Come lo vidi subito mi dissi: “Questo è
gay!”
Lee rimase sorpreso vedendomi
giungere al loro tavola con la comanda in mano. Provai un discreto imbarazzo, lo
ammetto, tuttavia ero felice di essere io a
servirlo.
“Che sorpresa!” esclamò lui
entusiasta.
“E’ un onore per me
servirti”, risposi. Questa poi! Come mi uscì dalla bocca proprio non so.
Lee si mise a ridere. Neanche
io riuscii a trattenermi. Ogni volta con lui mi comportavo da idiota. Non
riuscivo ad evitarlo. Succedeva e
basta.
“Questo è Ian” disse,
riferendosi al tipo che stava con lui. “Te lo presenterò meglio in un’ altra
occasione. Tipo domani a casa mia... Do’ una festicciola, mi farebbe piacere se
tu venissi.”
“D’
accordo.”
Ian mi scrutava curioso con
quei suoi enormi occhi verdi, profondi. Non riuscivo a non guardarlo. Credo che
Lee se ne fosse accorto, perchè lo vidi che abbassava lo sguardo con quello che
mi sembrò un certo imbarazzo.
Per tutto il tempo che
rimasero seduti a quel tavolo il mio sguardo non poteva evitare di tenerli sotto
stretta sorveglianza.
Quello fu il mio primo
incontro con Ian. Il giorno seguente Lee ci presentò di nuovo a casa sua.
Scoprii che Ian era un attore di Hollywood. Lui e Lee si erano conosciuti a Los
Angeles, nella villa di un famoso stilista per cui Lee aveva lavorato come
modello. Scoprii un lato della vita di Lee Ross che non conoscevo. Scoprii un
mondo che con il mio non aveva proprio niente a che vedere.
Verso mezzanotte me ne andai.
Avevo voglia di far due passi prima di tornarmene a casa così m’ incamminai
lungo il viale. Il nostro quartiere è piuttosto tranquillo di notte. Ero quasi
arrivato in fondo alla strada che un taxi mi si accostò.
“Vuoi un
passaggio?”
Era Ian, con il suo sguardo
penetrante. Mi fece cenno di salire sull’
auto.
“Vivo qui...”
dissi.
“Lo so. Pensavo che magari ti
andava di accompagnarmi in
hotel...”
La sua intraprendenza mi
sorprese.
“Che arroganza!” risposi,
entrando in macchina.
Ian ci sapeva fare. Ero
talmente preso dai suoi modi di fare che non pensai neanche per un secondo a
Lee. Il suo modo di sorridere non mi dava scampo. Stare con lui mi toglieva la
ragione. Passammo la notte insieme. Quando mi svegliai era giorno inoltrato. Ian
dormiva ancora. Feci piano, attento a non svegliarlo. Mi feci una doccia. L’
acqua tiepida sul corpo mi riporto con i piedi per terra. L’ immagine di Lee s’
affacciò nei miei pensieri.
“Cazzo!”
imprecai.
“Ehi, pensavo te la fossi
squagliata” disse Ian sorprendendomi sotto la doccia. “Dimenticavo che gli
inglesi sono dei gentiluomini, non lo farebbero mai. Scusa se ho dubitato di
te...”
“Io lo farei eccome! Non
sono certo una persona raccomandabile. Tu non mi conosci
affatto...”
“Qualche ora fa credevo di
sì”, disse lui baciandomi sul collo.
“Che presunzione! Solo
perchè siamo stati a letto insieme che di saper tutto di me!” sostenni
divertito.
"Non gliel' hai mai detto,
eh?"
"Di che
parli?"
"Lee," rispose. "Non sa
niente, vero?"
"E perchè mai dovrebbe?! Non
è necessario che..."
"Scusa se abbiamo... be',
capito..." rise.
"Scusa...?! Cosa vorresti
dire? E' stata una cosa reciproca, no?"
“Reciproca”, ripetè lui.
Annuì con la testa.
“Mi prendi in
giro?!”
"Ma no...!” disse
ridendo.
“Che
tipo!”
“Hans Miller", disse. "Non
ci credo...!" E rise di nuovo.
* * *
Come ero finito ad Hollywood
nel luglio di quello che fu il peggior anno della mia vita? Spesso me lo sono
chiesto. Era stato per caso, immagino. Per fortuna, qualcuno avrebbe potuto
pensare. Fortuna? Ma quale fortuna... A vederla col senno di poi la definirei
maledizione!
Ian mi aveva trascinato prima
nel suo letto, poi nella sua vita. Era stato lui a convincermi a trasferirmi a
Los Angeles. Mi aveva procurato un appartamento vicino al suo. Mi aveva dato le
dritte giuste per quel lavoro. Sapeva che ce l’ avrei fatta. Che sarei
sopravvissuto. Mi aveva portato con sè, nel suo mondo. Nel suo cazzo di mondo.
Mi aveva dato in pasto a tutta quella gente piena di sè.
Mi aveva presentato il
regista premio Oscar, G.H., che non avevo mai sentito nominare, ma questo me lo
tenni per me.
G. H. mi volle scritturare a
tutti i costi. Come mi vide quella prima volta a cena disse ero perfetto per la
parte di co-protagonista del suo film.
Ian si faceva sentire un paio
di volte a settimana. Odiavo tutta quella genta con la puzza sotto il naso che
spesso mi squadrava dall’ alto in basso. Per loro ero solo un incapace. Io ero
‘quello che fa l’ attore senza aver mai studiato recitazione’. Ero quello che
snobba Hollywood e suoi party a base di sesso e droga.
Una settimana prima Ian aveva
fatto la sua apparizione sul set del film che stavo girando. L’ avevo odiato
vedendomelo comparire davanti. Erano quasi tre mesi che non ci vedevamo. Quando
ero stato preso per quel ruolo ammetto di esserne stato felice, ma,
successivamente, la stanchezza e lo stress avevano preso il sopravvento. Non ne
potevo più di girare per tredici-quattordici ore di seguito. Desideravo soltanto
potermene stare un po’ in pace. Avrei solo voluto tornarmene a casa.
“Ehi, Miller... Come
va?”
“Da schifo! Sono a pezzi.
Mancano ancora due settimane alla fine delle riprese, poi gireremo a
Londra...”
“Non me l’avevi
detto.”
“Che te ne importa? Immagino non ci saremmo visti comunque...”
“Che te ne importa? Immagino non ci saremmo visti comunque...”
“Beh, adesso sono
qui!”
“Fantastico!” dissi
ironico.
“Dai, Miller, non sarà sempre
così... Avrai tante soddisfazioni,
vedrai.”
“Certo,” risposi in tono
rassegnato.
“Ci vediamo più tardi?
Potremmo cenare insieme, che dici? Facciamo da
me?”
“O.k.” accettai. Quel suo
dannatissimo sguardo! Non riuscivo a dirgli di
no.
“Bene. A più tardi. Ciao,
Holden!”
Aveva preso a chiamarmi
Holden, già da un po’, quando, diceva che, giocavo a fare ‘il disadattato e lo
schivo’. E mi chiamava Miller, quasi mai Hans, e non ne ho mai capito il perchè.
Forse non c’è una ragione precisa. Ad ogni modo, in fondo, mi piaceva sia quando
mi chiamava Holden che Miller.
Cenammo nel suo appartamento.
Dopo, anche se era distrutto, finimmo per fare sesso.
“Mi sento un bastardo... E
domani tu devi lavorare...” tentò di
scusarsi.
“Non fartene una colpa. Si è
presentata l’occasione e...”
"Senti, Miller..." prese a
dire, interrompendomi.
Odio quando qualcuno inizia
una frase con 'senti'. Mi da' letteralmente ai nervi. E non mi fa mai pensare a
niente di buono.
"Mi farebbe davvero molto
piacere se questa occasione" disse,
evidenziando la parola occasiona, "si ripresentasse in futuro. Tu mi piaci
Miller, parlo sul serio. So che non è facile avere una relazione stabile,
soprattutto in questo ambiente ma..."
"Va bene" risposi. E quella
non era certo la risposta che si aspettava. Lo capii immediatamente dalla sua
faccia. Non che gli dispiacesse, anzi, solo che non se l'aspettava. A dire la
verità neanche io mi aspettavo di dire una cosa
simile.
"Come...?" domandò
incredulo.
"O.k., per me va
bene."
"Perfetto!" disse
soddisfatto.
Prima di andarmene mi ha
dette una rivista di moda. Sul retro, in quarta di copertina, c’ era la foto
della pubblicità di una nota marca di jeans che ritraeva Lee in una posa
piuttosto sexy.
“E’ il
testimonial della loro nuova campagna
pubblicitaria.”
Non riuscii a dire niente. Arrivò il taxi e salii. Per
tutto il tragitto tenni gli occhi fissi sul fondoschiena di Lee.
Tornai agli Studios che era notte fonda. In giro non c’era
anima viva. Tutto intorno a me sembrava così triste. Entrai nel mio container
sperando che una volta varcata la soglia ad attendermi ci fosse la mia vecchia
camera. Forse la vidi veramente. Mi buttai esausto sul letto, tuttavia non
riuscii a chiudere occhio. Continuavo a fissare la sveglia. E pensavo a Lee. A
quando -e se- l’ avrei rivisto. Pensavo di chiamarlo, ci pensavo spesso, poi
rinunciavo. Il fatto era che mi mancava davvero troppo. Il fatto era
che...
L’ ultima settimana di riprese negli Stati Uniti fu ancora
più pesante delle precedenti, poi la troupe si spostò in una location a
Londra.
“Ehi, in gamba Holden!” mi salutò Ian la sera prima della
partenza.
Finalmente, dopo quasi un anno, rimisi piede a Londra.
Tutto mi sembrava diverso da come l’avevo lasciato. Sul vialetto di casa mia
sono stato lì lì per esitare. Vidi il vecchio me suonare il campanello, poi
correre sul retro fin sotto alla finestra della camera di Lee. L o vidi lanciare
un sasso ed aspettare che l’amico apparisse in controluce dietro al vetro, poi
scappare via veloce nella notte.
“Hans...?!” mia madre mi sorprese mentre me ne stavo lì
impalato davanti casa.
Mi sembravano secoli che non facevo ritorno a casa. Mi
sentivo come un soldato che torna dal fronte. Mi sentivo un po’ fuori luogo.
Eppure fino al giorno prima non desideravo altro che tornarmene in Inghilterra.
Ero fuori luogo ad Hollywood e adesso ero fuori luogo lì. Non avevo più un mio
posto. Dio, che sensazione del cavolo!
“Che ti succede? Perchè te ne stai lì impalato?
Hans...!”
Scacciai dalla mente quel senso di alienazione che mi
aveva assalito ed avanzai verso mia madre.
“Forza, Holden!” mi dissi, sforzandomi di
sorridere..
Lei mi abbracciò forte, come non ricordavo avesse mai
fatto prima.
Le riprese erano quasi terminate. La produzione aveva
organizzato una cena in uno dei ristoranti più in della capitale. Odio queste
cose, ma quella sera non potevo defilarmi. Pensavo seriamente di farla finita
con tutto quello. Non ero per niente convinto che quello fosse il mio mondo.
Mi feci lasciare dal taxi in fondo al viale. La mia solita
voglia della passeggiata notturna.
Camminavo guardando in alto,
verso la luna.
“Hans. Ehi, Hans...!” chiamò
una voce alle mie spalle.
Stentavo a crederci. Lee era
proprio dietro di me. Indossava pantaloni attillati, proprio come nella foto
sulla rivista.
“Ma cosa fai? Non mi hai
neanche chiamato per dirmi che
tornavi...”
“In realtà avrei voluto
chiamarti... Avrei voluto farlo tante di quelle volte...”
ammisi.
Lee sembrava non
capire.
“Ad Hollywood la luna è
diversa, sembra di cartone!”
“Sei matto...!” sostenne lui
ridendo.
“Oh, Dio... Non so come
faccio a dire tante stronzate!”
“Non preoccuparti”, disse
sorridendo. “Allora, perchè non mi hai
chiamato?”
“Se te lo dico poi tu... Be’,
ecco... Io sono un tipo un po’ strano e... come posso
dirtelo...”
"Non credo tu sia poi tanto
strano", disse.
Non dissi niente. Mi limitai
ad annuire.
"Avevo una ragazza quando
andavo al college," prese a dire. "Siamo stati insieme per quasi un anno, poi
lei si trasferì a Brighton e la cosa finì lì. Beh, ci scrivemmo i primi tempi...
Non so neanche perchè lo facessi, dal momento che per me era praticamente morta
e sepolta. Sai, quando stavo con lei, io in realtà..." si fermò un
momento.
Lo guardai sotto quella
magnifica luce bianca della luna piena.
"In realtà tu... cosa?"
domandai.
Era arrossito. Per la prima
volta lo vedevo in imbarazzo.
"Lascia stare, non voglio
saperlo", mi affrettai a dire.
"Volevo solo essere come gli
altri. Volevo che nessuno mi considerasse diverso,
strano."
"Sì, credo di poterlo
capire."
"Non abbiamo mai fatto sesso.
Penso che lei la ritenesse come una forma di rispetto nei suoi confronti, ma la
verità è che io non provavo assolutamente niente per
lei."
"So cos'è. La totale mancanza
d'attrazione, l'ho provata spesso."
Sì, la provavo sempre verso
le ragazze.
"Ehi, Hans...
"
Il momento era fatidico. Ora
o mai più. Sarebbe successo quel che sarebbe successo. Ero pronto. Avrei
rischiato. Forse l’ avrei perso. O
forse...
Lo baciai. Fu diverso da ogni
altra volta. Diverso da ogni altro bacio. Mi ricordai i primi tempi. Quanto mi
sentivo impacciato ad esprimere i miei sentimenti. E la paura d’ esser
rifiutato.
“Adesso capisci perchè non
potevo chiamarti?”
“Assolutamente
no”.
Lo guardavo incredulo.
Sentivo il bisogno di abbandonare il campo. Avrei voluto piantarlo lì, in mezzo
di strada. Le luci del crepuscolo ci stavano raggiungendo. La luna era ancora
lassù, solo un po’ più bassa. Era stata nostra
testimone.
“Ci vediamo, Lee” riuscii a
dire, infine, e me ne andai sul
serio.
Avevo bisogno di riposarmi.
Ultimamente avevo dormito solo un paio d’ore per
notte.
“Non può funzionare” mi dissi
una volta a casa. Ed avevo rovinato tutto. C’era stato un tempo in cui mai e poi
mai avrei creduto di confessare a Lee di essere gay. E che addirittura gli avrei dichiarato i miei
sentimenti.
Mancavano tre giorni. Tre
soli giorni. Poi, sarei volato di nuovo in America.
Non curante del fuso orario
Ian mi chiamò alle cinque del mattino. Non accennai neanche lontanamente a
quello che c’ era stato con Lee. Gli dissi solo che l’ avevo incontrato per caso
per strada.
Tornai a Los Angeles senza aver
rivisto Lee. Me ne andai come un vigliacco, in silenzio. Ignorai le sue chiamate
al cellulare. Partii col solo unico pensiero rivolto ad Ian che avrei trovato ad
attendermi all’ aeroporto. Per la prima volta mi resi conto d’ esser soddisfatto
anche del mio lavoro. Ero ansioso di assistere alla prima del film. Scambiai
anche qualche parola in più con G.H., che mi sul volomi era seduto a fianco. Ad
un certo punto mi sembrò che si fosse stabilito un curioso rapporto d’ intesa
tra noi, come qualcosa che poteva sfiorare l’ amicizia. Era entusiasta del
nostro lavoro. Mi stimava, sia come persona che come attore. Diceva che avevo
del potenziale. Mi mettevano in imbarazzo quei discorsi. Cercavo di sorridergli
con più naturalezza che potevo. Poi, mi fece capire che lui sapeva di Ian. Disse
che potevo fidarmi. Conosceva Ian da molti anni. Era amico di suo padre, con cui
aveva lavorato quand’ era più giovane. Improvvisamente mi sentii come a casa. Mi
sentii libero di essere me stesso. Forse esagero ma in quel momento G. mi parve
la figura più vicina ad un padre. Non c’ era nessun secondo fine nei suoi
discorsi. Non ci stava provando con me, e non ci provò mai. Diventammo amici e
lavorammo nuovamente insieme un paio di anni dopo.
[ Fine 1a
parte]
[Premessa: In
questa seconda parte (ultimata oggi 29 giugno
2008) ci sono chiari riferimenti a due film interpreati da Lee Williams, ci
tengo comunque a ribadire che si tratta di un' opera di TOTALE FANTASIA!^^
]
Sarebbe potuto essere tutto
diverso. Lo pensavo spesso da quando ero rientrato negli Stati Uniti. Erano già
passati sei mesi da allora. Non era così che dovevano andare le cose. Certo che
col senno di poi è facile.
Lee mi aveva chiamato poco prima che uscissi per andare a quello che sarebbe stato il mio primo ed ultimo party hollywoodiano. Avevo lasciato squillare il cellulare nel silenzio della stanza. Avevo lanciato un ultimo sguardo alla rivista sul tavolo con una delle pubblicità che ritraeva Lee con quei jeans maledettamente sexy. Se devo esser sincero mi sentivo una merda. Le cose sarebbero potute andare diversamente, almeno in parte. Qualcosa che successe da lì a poco probabilmente non avrei potuto evitarlo, ma tra me e Lee -forse- poteva essere tutto diverso.
Era stato Ian a convincermi a partecipare a quella festa di cui ora non ho che vaghi ricordi. Frame confusi che anche adesso tornano a torturarmi di tanto in tanto. Come lo sguardo rassicurante di Ian. Come Natalie che sorrideva. E quel mio strano, brutto, presentimento... Poi, la polizia che mi interrogava. Le voci sconosciute attorno a me. La voglia di scappare via. Poi, ancora, la telefonata a Lee. Il nodo in gola che m' impediva di parlare. Le lacrime che non scendevano, ma che inondavano la mia testa. La voglia irrefrenabile di gridare.
No, non credo avrei potuto evitare ciò che accadde quella sera. Parlai per quasi tutto il tempo con Natalie, con cui avevo lavorato tempo prima. Ci conoscemmo meglio. Lei aveva un fascino tutto particolare. Sembrava come me, totalmente estranea a quell' ambiente. Quando mi allontanai per andare a prendere qualcosa da bere cercai Ian con lo sguardo, ma non lo trovai. Raggiunsi Natalie sul bordo della piscina. Successe immediatamente dopo. Arrivò la polizia e tutto il resto. Parlavano di un incidente avvenuto a circa un chilometro dalla villa. Provai un senso di vertigine. Natalie mi fissò incredula. Dopo, tutto si sfocò nella mia mente.
I giorni seguenti cercai di ricostruire l' accaduto, in qualche modo. Non riuscivo a farmene una ragione. Com' era possibile? Non l' avevo neanche visto andarsene. Quando aveva lasciato la villa? E perchè? Perchè non me l' aveva detto? Non mi aveva neanche salutato. Non mi sembrava da lui comportarsi così.
Rividi Lee al funerale. Ci scambiammo appena qualche parola su Ian. L' esame tossicologico sul suo corpo aveva stabilito che era sotto l' effetto di stupefacenti e il tasso alcolico era decisamente alto. In auto con lui c' era Allison, una sua amica di vecchia data. Allison era una persona a posto, almeno dava quest' impressione. Ian me l' aveva presentata poco dopo il mio arrivo a Los Angeles. Anche lei, che se l' era cavata con qualche costola rotta, era risultata positiva all' esame tossicologico. Era riuscita a dire solo che Ian aveva perso il controllo della macchina in curva. Sì, ma perchè se n'erano andati senza dire niente?
"Ehi, Hans..." disse Lee.
Sussultai a quelle parole. Era il modo in cui solitamente mi si rivolgeva Ian.
"Mi dispiace," dissi. "Per tutto. Per come mi sono comportato con te e per quello che è successo ad Ian..."
"Ma tu non c' entri con Ian," rispose lui.
"Devo dirti qualcosa, Lee."
Lo convinsi a rimanere a dormire da me. Gli parlai, finalmente, di me ed Ian.
"L' avevo immaginato."
"Voleva fossi io a dirtelo, solo che... "
"Non ha più importanza adesso. Domani ho il volo per Londra alle nove."
"Non rimani qualche giorno? Puoi stare qui..."
"Devo sostenere un provino nel pomeriggio. Te ne avrei parlato, ma non ti sei neanche degnato di rispondere alla mia telefonata... "
"Allora era questo. Mi avevi chiamato per questo..."
"Pensavo potessimo essere amici. Insomma, il fatto che tra noi non possa esserci altro non credevo significasse anche rompere la nostra amicizia. Beh, scusa se..."
"No, basta. Non dire più niente. Mi sento un vero bastardo... Io non volevo questo, assolutamente."
"Non capisco..."
"Tu mi piaci Lee, ma siamo entrambi molto impegnati e la nostra immagine pubblica..."
"La nostra... immagine?!" disse mettendosi a ridere. "E' strano sentirti dire una cosa del genere!"
"Forse hai ragione. Comunque se rimani mi fa piacere..."
"Ho davvero quel provino."
"O.k."
Erano tante le cose di Lee che non sapevo. Come che lui frequentasse una scuola di recitazione.
"Mi hanno scelto per un ruolo in un film gay!" mi disse al telefono, qualche tempo dopo.
"E girerai scene di sesso?" fu la prima cosa che mi venne da chiedergli. Scemo!
"Ma no...!" rispose lui divertito. "Sì tratta di una produzione a basso costo... Una storia horror sulla diversità e l' intolleranza... "
"Un horror?"
"Sì. I protagonisti sono perseguitati dagli abitanti di un villaggio in quanto lupi, be' con le sembianze umane... Ovviamente si tratta di una metafora!" mi spiegò.
Sembrava davvero entusiasta. Mi complimentai con lui. Ci ripromettemmo di vederci presto.
Mi sentivo ancora legato ad Ian, non potevo negarlo. Lee lo sapeva e manteneva le distanze. Non posso neanche negare di pensarlo più di una volta durante il giorno. Così mi sentivo come affetto da sadismo psicologico. Avevo creato una linea di confine tra noi. Un limite che non volevo oltrepassare, anche se Lee mi piaceva. Solo Dio sa quanto mi piacesse. Col passare del tempo i miei sentimenti, però avevano finito per subire, inevitabilmente, una trasformazione. L' attrazione era diventata amore e successivamente l' amore si era trasformato in semplice affetto.
Spesso la notte sognavo Ian. Facevamo l' amore. Iniziai a pensare che mi andava bene anche così. Ci fu una volta in cui sognai Lee, ma questo non gliel' ho mai detto. Fu l' unica volta.
Lee mi aveva chiamato poco prima che uscissi per andare a quello che sarebbe stato il mio primo ed ultimo party hollywoodiano. Avevo lasciato squillare il cellulare nel silenzio della stanza. Avevo lanciato un ultimo sguardo alla rivista sul tavolo con una delle pubblicità che ritraeva Lee con quei jeans maledettamente sexy. Se devo esser sincero mi sentivo una merda. Le cose sarebbero potute andare diversamente, almeno in parte. Qualcosa che successe da lì a poco probabilmente non avrei potuto evitarlo, ma tra me e Lee -forse- poteva essere tutto diverso.
Era stato Ian a convincermi a partecipare a quella festa di cui ora non ho che vaghi ricordi. Frame confusi che anche adesso tornano a torturarmi di tanto in tanto. Come lo sguardo rassicurante di Ian. Come Natalie che sorrideva. E quel mio strano, brutto, presentimento... Poi, la polizia che mi interrogava. Le voci sconosciute attorno a me. La voglia di scappare via. Poi, ancora, la telefonata a Lee. Il nodo in gola che m' impediva di parlare. Le lacrime che non scendevano, ma che inondavano la mia testa. La voglia irrefrenabile di gridare.
No, non credo avrei potuto evitare ciò che accadde quella sera. Parlai per quasi tutto il tempo con Natalie, con cui avevo lavorato tempo prima. Ci conoscemmo meglio. Lei aveva un fascino tutto particolare. Sembrava come me, totalmente estranea a quell' ambiente. Quando mi allontanai per andare a prendere qualcosa da bere cercai Ian con lo sguardo, ma non lo trovai. Raggiunsi Natalie sul bordo della piscina. Successe immediatamente dopo. Arrivò la polizia e tutto il resto. Parlavano di un incidente avvenuto a circa un chilometro dalla villa. Provai un senso di vertigine. Natalie mi fissò incredula. Dopo, tutto si sfocò nella mia mente.
I giorni seguenti cercai di ricostruire l' accaduto, in qualche modo. Non riuscivo a farmene una ragione. Com' era possibile? Non l' avevo neanche visto andarsene. Quando aveva lasciato la villa? E perchè? Perchè non me l' aveva detto? Non mi aveva neanche salutato. Non mi sembrava da lui comportarsi così.
Rividi Lee al funerale. Ci scambiammo appena qualche parola su Ian. L' esame tossicologico sul suo corpo aveva stabilito che era sotto l' effetto di stupefacenti e il tasso alcolico era decisamente alto. In auto con lui c' era Allison, una sua amica di vecchia data. Allison era una persona a posto, almeno dava quest' impressione. Ian me l' aveva presentata poco dopo il mio arrivo a Los Angeles. Anche lei, che se l' era cavata con qualche costola rotta, era risultata positiva all' esame tossicologico. Era riuscita a dire solo che Ian aveva perso il controllo della macchina in curva. Sì, ma perchè se n'erano andati senza dire niente?
"Ehi, Hans..." disse Lee.
Sussultai a quelle parole. Era il modo in cui solitamente mi si rivolgeva Ian.
"Mi dispiace," dissi. "Per tutto. Per come mi sono comportato con te e per quello che è successo ad Ian..."
"Ma tu non c' entri con Ian," rispose lui.
"Devo dirti qualcosa, Lee."
Lo convinsi a rimanere a dormire da me. Gli parlai, finalmente, di me ed Ian.
"L' avevo immaginato."
"Voleva fossi io a dirtelo, solo che... "
"Non ha più importanza adesso. Domani ho il volo per Londra alle nove."
"Non rimani qualche giorno? Puoi stare qui..."
"Devo sostenere un provino nel pomeriggio. Te ne avrei parlato, ma non ti sei neanche degnato di rispondere alla mia telefonata... "
"Allora era questo. Mi avevi chiamato per questo..."
"Pensavo potessimo essere amici. Insomma, il fatto che tra noi non possa esserci altro non credevo significasse anche rompere la nostra amicizia. Beh, scusa se..."
"No, basta. Non dire più niente. Mi sento un vero bastardo... Io non volevo questo, assolutamente."
"Non capisco..."
"Tu mi piaci Lee, ma siamo entrambi molto impegnati e la nostra immagine pubblica..."
"La nostra... immagine?!" disse mettendosi a ridere. "E' strano sentirti dire una cosa del genere!"
"Forse hai ragione. Comunque se rimani mi fa piacere..."
"Ho davvero quel provino."
"O.k."
Erano tante le cose di Lee che non sapevo. Come che lui frequentasse una scuola di recitazione.
"Mi hanno scelto per un ruolo in un film gay!" mi disse al telefono, qualche tempo dopo.
"E girerai scene di sesso?" fu la prima cosa che mi venne da chiedergli. Scemo!
"Ma no...!" rispose lui divertito. "Sì tratta di una produzione a basso costo... Una storia horror sulla diversità e l' intolleranza... "
"Un horror?"
"Sì. I protagonisti sono perseguitati dagli abitanti di un villaggio in quanto lupi, be' con le sembianze umane... Ovviamente si tratta di una metafora!" mi spiegò.
Sembrava davvero entusiasta. Mi complimentai con lui. Ci ripromettemmo di vederci presto.
Mi sentivo ancora legato ad Ian, non potevo negarlo. Lee lo sapeva e manteneva le distanze. Non posso neanche negare di pensarlo più di una volta durante il giorno. Così mi sentivo come affetto da sadismo psicologico. Avevo creato una linea di confine tra noi. Un limite che non volevo oltrepassare, anche se Lee mi piaceva. Solo Dio sa quanto mi piacesse. Col passare del tempo i miei sentimenti, però avevano finito per subire, inevitabilmente, una trasformazione. L' attrazione era diventata amore e successivamente l' amore si era trasformato in semplice affetto.
Spesso la notte sognavo Ian. Facevamo l' amore. Iniziai a pensare che mi andava bene anche così. Ci fu una volta in cui sognai Lee, ma questo non gliel' ho mai detto. Fu l' unica volta.
Gli impegni di
lavoro non mi permettevano molto spesso di rientrare in Inghilterra, ma quando
succedeva non perdevo mai tempo per fissare con Lee. Mi raccontava le sue nuove
esperienze come attore e io, al solito, ogni sorta di pettegolezzo che girasse
ad Hollywood.
Casualmente ci ritrovammo a partecipare ad uno stesso provino per un film di un regista italiano. Tutti e due avevamo mantenuta segreta la cosa, per scaramanzia. Quando fui scelto e mi indicarono l' altro protagonista della pellicola stentai a crederci. Lee mi guardava con quel suo solito sorriso spiazzante. Aveva sostenuto il provino prima di me e non ci eravamo incrociati.
Anche se da allora sono passati quasi dieci anni è tutto molto vivido nei miei ricordi.
Mi sono concesso una breve vacanza nella Repubblica Ceca.
Ti ho rivisto là, nella mia mente. Camminavamo insieme per le strade di Praga. Eravamo stati là un mese. E là, in quell' occasione, mi ero di nuovo innamorato di te. Tu sorridevi. Ed io ti amavo. Ero così attratto da te. Ti avrei abbracciato e baciato anche per strada, fregandomene della gente. Durante le riprese ero eccitato come non mai. Abbiamo avuto modo di approfondire la nostra amicizia proprio grazie a quel film.
Lungo la Moldava mi sono lasciato completamente dominare dai ricordi. Avrei voluto rivivere le scene del nostro film, ma non più come attore. Le avrei volute vivere come Hans Miller. Avrei fatto scelte diverse dal protagonista e tu, immagino, non avresti odiato quel tuo fratello nato da una relazione illegittima. Sarebbe stato diverso. Nessuna Sophie. Nessuna Sophie per me. Solo tu. E un Canone Inverso scritto solo per noi.
Invece, sono seduto sul letto di una silenziosa stanza d' hotel. Fisso il telefonino sul tavolo, ma non ti chiamo. Chiami tu, con un ottimo tempismo.
"Ma non dovevi tornare oggi?" mi chiedi.
"Le riprese si sono protratte ancora per qualche giorno" rispondo mentendo. Non ci sono riprese, non sto girando nessun film. Avevo soltanto bisogno di abbandonare Hollywood per un po'.
"Ho da raccontarti tante di quelle cose!"
"Ho visto la serie... " gli dico. "Una palla tremenda... è solo il tuo personaggio che la rende vedibile!" ammetto scherzosamente, ma onestamente.
Lui ride. "Mi manchi" dice.
Mi manchi anche tu penso, ma le parole mi muoiono dentro. Non mi piace essere sdolcinato.
"Hans, torna presto" aggiunge poi.
E ti rivedo là, quell' ultima sera, in quell' ultima scena. La sera del concerto, la notte in cui mi portano via. Siamo morti tutti quella notte. Un suono di violino lungo la Moldava. David o forse, davvero, Jeno. Ti amo Lee.
Hollywood non è Londra. Nel bene e nel male, soprattutto nel primo. Hollywood è cruda e selettiva. Non ti lascia respiro. Rischia di soffocarti e sbiadirti sotto le luci dei suoi riflettori.
La tua pubblicità sui muri non mi dava scampo. Come del resto il fantasma di Ian che tornava a sostenermi in quei tristi momenti in cui pensavo di mandare tutto al diavolo. Avrei voluto lavorare di nuovo con te. Confrontarci sul set. Quell' intesa che si era creata tra noi a Praga era una delle cose migliori che potessero succedermi nella vita.
Dopo la morte di Ian avevo pensato di tornarmene a Londra, in un primo momento, ma poi decisi di rimanere. Ian aveva fatto molto per me. Mi aveva presentato le persone giuste. Mi aveva fatto amare il cinema. Forse non ero più come l' Holden di Salinger. La vita con Ian mi aveva cambiato. Sarei stato ancora Holden, forse, ma solo il 'suo' Holden. Per sempre.
Casualmente ci ritrovammo a partecipare ad uno stesso provino per un film di un regista italiano. Tutti e due avevamo mantenuta segreta la cosa, per scaramanzia. Quando fui scelto e mi indicarono l' altro protagonista della pellicola stentai a crederci. Lee mi guardava con quel suo solito sorriso spiazzante. Aveva sostenuto il provino prima di me e non ci eravamo incrociati.
Anche se da allora sono passati quasi dieci anni è tutto molto vivido nei miei ricordi.
Mi sono concesso una breve vacanza nella Repubblica Ceca.
Ti ho rivisto là, nella mia mente. Camminavamo insieme per le strade di Praga. Eravamo stati là un mese. E là, in quell' occasione, mi ero di nuovo innamorato di te. Tu sorridevi. Ed io ti amavo. Ero così attratto da te. Ti avrei abbracciato e baciato anche per strada, fregandomene della gente. Durante le riprese ero eccitato come non mai. Abbiamo avuto modo di approfondire la nostra amicizia proprio grazie a quel film.
Lungo la Moldava mi sono lasciato completamente dominare dai ricordi. Avrei voluto rivivere le scene del nostro film, ma non più come attore. Le avrei volute vivere come Hans Miller. Avrei fatto scelte diverse dal protagonista e tu, immagino, non avresti odiato quel tuo fratello nato da una relazione illegittima. Sarebbe stato diverso. Nessuna Sophie. Nessuna Sophie per me. Solo tu. E un Canone Inverso scritto solo per noi.
Invece, sono seduto sul letto di una silenziosa stanza d' hotel. Fisso il telefonino sul tavolo, ma non ti chiamo. Chiami tu, con un ottimo tempismo.
"Ma non dovevi tornare oggi?" mi chiedi.
"Le riprese si sono protratte ancora per qualche giorno" rispondo mentendo. Non ci sono riprese, non sto girando nessun film. Avevo soltanto bisogno di abbandonare Hollywood per un po'.
"Ho da raccontarti tante di quelle cose!"
"Ho visto la serie... " gli dico. "Una palla tremenda... è solo il tuo personaggio che la rende vedibile!" ammetto scherzosamente, ma onestamente.
Lui ride. "Mi manchi" dice.
Mi manchi anche tu penso, ma le parole mi muoiono dentro. Non mi piace essere sdolcinato.
"Hans, torna presto" aggiunge poi.
E ti rivedo là, quell' ultima sera, in quell' ultima scena. La sera del concerto, la notte in cui mi portano via. Siamo morti tutti quella notte. Un suono di violino lungo la Moldava. David o forse, davvero, Jeno. Ti amo Lee.
Hollywood non è Londra. Nel bene e nel male, soprattutto nel primo. Hollywood è cruda e selettiva. Non ti lascia respiro. Rischia di soffocarti e sbiadirti sotto le luci dei suoi riflettori.
La tua pubblicità sui muri non mi dava scampo. Come del resto il fantasma di Ian che tornava a sostenermi in quei tristi momenti in cui pensavo di mandare tutto al diavolo. Avrei voluto lavorare di nuovo con te. Confrontarci sul set. Quell' intesa che si era creata tra noi a Praga era una delle cose migliori che potessero succedermi nella vita.
Dopo la morte di Ian avevo pensato di tornarmene a Londra, in un primo momento, ma poi decisi di rimanere. Ian aveva fatto molto per me. Mi aveva presentato le persone giuste. Mi aveva fatto amare il cinema. Forse non ero più come l' Holden di Salinger. La vita con Ian mi aveva cambiato. Sarei stato ancora Holden, forse, ma solo il 'suo' Holden. Per sempre.
